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mercoledì 7 maggio 2008

MORATTI:MOURINHO O BENITEZ?


L'ultimo scontro frontale tra Massimo Moratti e Roberto Mancini, andato in onda in più round dal derby in avanti, ha fatto un ferito grave (il presidente) e una vittima (il tecnico). Il primo è stufo del secondo, che non è quasi mai d'accordo con il primo e non si preoccupa dell'arrivo di un terzo. E' una banalissima questione di carattere. Moratti è un po' incontinente - vecchio difetto che ha riempito pagine di giornali anche nei momenti peggiori dell'Inter - ma, dall'alto del suo ruolo, ha il diritto-dovere di dire quello che pensa della squadra e delle scelte del suo allenatore. Mancini, invece, è un "ribelle", uno che non accetta critiche e, comunque, quando viene colpito reagisce quasi come gesto istintivo. Non fa calcoli, in questo, e non si preoccupa delle conseguenze di quanto fa o dice. Vive, in qualche modo, da uomo libero. Costi quel che costi. Il problema - se di problema si tratta - è però che il prezzo da pagare questa volta è salato. Perché Moratti pensava da tempo di cambiare la guida tecnica della squadra. Perché Mancini, dal Liverpool in poi, non ha mai cambiato idea sul suo addio a fine campionato. E perché il Barcellona ha scelto Guardiola e, di conseguenza, ha lasciato Mourinho all'Inter. Mourinho, e chi se no? E' bravo - anche se Grant ha inflazionato le sue azioni -, ha il carattere adatto per gestire una squadra "rognosa" come quella nerazzurra, ha esperienza internazionale e, soprattutto, è sul mercato. Lui o Benitez, che piace tanto al buon Massimo, in Champions fa faville e del Liverpool non ne può più. Insomma, Mourinho, Benitez, Mancini e nada otro, nient'altro.La questione verrà risolta in breve tempo. Mancini vincerà domenica il suo terzo scudetto consecutivo con l'Inter, farà festa con la squadra, abbraccerà Moratti come un padre e, forse, rassegnerà le dimissioni. Forse, però, perché di fatto, e questo è il punto, l'allenatore dei campioni d'Italia non ha alternative. Le aveva, o credeva di averle, quando annunciò l'addio dopo il Liverpool (il City dell'amico Eriksson sembrava interessato, ma oggi la prima scelta è Scolari). In questo momento, però, non c'è una sola squadra tra le grandi del panorama europeo che pensi al tecnico di Jesi. Non in Italia, dove il Mancio non raccoglie molti consensi, e non in Inghilterra, dove lui sarebbe tornato volentieri. Quest'assenza di alternative peserà molto nel braccio di ferro tra il presidente e l'allenatore. Peserà almeno quanto gli scudetti, le liti, il parere dei dirigenti e quello di qualche giocatore. La partita, insomma, si preannuncia ancora lunga e tirata. A fine maggio il triplice fischio

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